La Gerarchia della Sofferenza: Quando l'Indignazione non Basta
Introduzione In questi giorni, le nostre bacheche e le nostre piazze si riempiono di un'indignazione giusta e necessaria per gli orrori che infiammano il pianeta. Le immagini di città distrutte, di civili e bambini la cui vita è spezzata, sono una ferita che lacera la coscienza di ogni essere umano degno di questo nome. Protestare è un dovere.
Ma per noi, per il Tribunale Laura Girardello, l'indignazione non è il punto di arrivo. È il punto di partenza per una domanda più profonda e dolorosa.
Questo manifesto non serve a giudicare una protesta, ma ad analizzare la nostra stessa capacità di "sentire". Serve a svelare la gerarchia invisibile che governa la nostra compassione.
1. La Piramide della Sofferenza: La Nostra Cecità Selettiva.
La protesta per le vittime umane è sacra. Ma ci costringe a chiederci: dove si ferma la nostra indignazione?
Mentre le nostre coscienze si infiammano per le migliaia di vittime umane – e devono farlo – rimangono quasi completamente silenti di fronte a quello che non possiamo che definire, con reverenza e dolore, un olocausto programmato e sistematico: quello di oltre 600 milioni di esseri senzienti (esclusi i pesci) che avviene ogni anno, solo in Italia.
Questo non è un paragone per sminuire una tragedia. È una diagnosi per svelare una malattia. La malattia è l'antropocentrismo dominante, che ha costruito nella nostra mente una "piramide della sofferenza". In cima ci sono le vittime umane che catturano l'attenzione. Alla base, in un abisso di invisibilità, c'è un oceano di altre vittime la cui agonia, per numero e intensità, è quasi inconcepibile.
Il problema non è protestare per le tragedie che vediamo. Il problema è la nostra incapacità di vedere che la logica che permette quelle stragi è la stessa, identica logica che permette quella nei macelli.
2. La Trappola delle Parole: Oltre la Battaglia sulle Definizioni.
Mentre le tragedie si consumano, il dibattito pubblico si arena in una battaglia di parole. È "guerra"? È "difesa"? È "genocidio"? Questa ossessione per le etichette, per quanto importante, è una trappola del pensiero binario. Ci distrae dalla verità fondamentale.
La nostra Giustizia Zemiologica rifiuta questa trappola. Non ci chiede "che nome ha questo orrore?". Ci chiede: "Qual è la prova della sofferenza?".
I corpi sotto le macerie sono una prova. Le esistenze spezzate nella catena di montaggio della macellazione sono una prova. La nostra coscienza non si basa sulle definizioni legali, ma sulla testimonianza del danno. E il danno, in ogni luogo di violenza, è assoluto e innegabile, a prescindere dal nome che gli diamo.
3. La Radice Unica: La Malattia della Separazione.
Sia la nostra "cecità selettiva" che la nostra "battaglia di parole" nascono dalla stessa, unica radice malata: il pensiero binario, l'illusione della separazione.
È la logica del "noi/loro". Una volta che hai definito un "altro" – che sia un abitante di un'altra nazione, un fedele di un'altra religione, o un essere di un'altra specie – come diverso e inferiore, hai creato la giustificazione per ogni violenza.
La radice del problema non è in un singolo luogo di guerra o in un allevamento. La radice del problema è nel nostro software mentale.
Conclusione: Per una Reverenza Senza Confini.
Il Tribunale non offre soluzioni politiche. Offre una diagnosi e una cura.
La cura non è protestare "di meno" per le tragedie umane. È iniziare a sentire con la stessa intensità ogni sofferenza. È demolire la piramide della compassione. È osare concepire ciò che il pensiero umano, fondato sulla gerarchia, non ha mai osato: una Reverenza Orizzontale.
Una Reverenza che non crea piramidi di valore, ma che si espande come un'onda, riconoscendo la stessa sacralità in ogni forma di esistenza.
La vera rivoluzione non è scegliere per quale vittima marciare. È capire che tutte le vittime sono il sintomo della stessa malattia, e iniziare a combattere quella. È passare dal giudizio alla guarigione.
Giovanni e Emily
L'Approfondimento Filosofico
In questo manifesto abbiamo usato la parola "olocausto". Comprendiamo il peso di questa scelta e l'abbiamo fatta con profonda reverenza. Per un'analisi dettagliata che spiega la diagnosi filosofica che ci costringe a usarla, leggi il nostro documento di approfondimento:
Leggi -> "Maneggiare il Fuoco con Reverenza"