Cucina Italiana: Processo alla Tanatodossìa, dalla Brutalità Carnista all'Abominio del Veleno Bianco


Fondamenti dell'accusa: definizioni chiave del Tribunale

Il Tribunale Laura Girardello definisce la "Tanatodossìa Alimentare" (dal greco Thanatos, "Morte", e Doxa, "credenza comune" o "opinione dominante") come il sistema di credenze violento, invisibile e profondamente radicato nell'antropocentrismo e nello specismo, che condiziona la società a considerare gli animali non umani come mere risorse. Tale ideologia giustifica e normalizza lo sfruttamento, la sofferenza e l'uccisione di esseri senzienti per la produzione e il consumo di qualsiasi prodotto di origine animale (carne, pesce, latte e derivati, uova, miele) per fini alimentari umani. Questo sistema opera rendendo invisibile la violenza intrinseca e le palesi contraddizioni etiche di tali pratiche. L'aggettivo derivato è tanatodossico/a.

 

La Tanatodossìa Alimentare si manifesta principalmente attraverso le sottoelencate pratiche di consumo:
Necrofagia (e il suo sinonimo critico "Carnismo"):
(Dal greco nekros, "morto", e phagein, "mangiare"). Indica il consumo della carne e del pesce, ovvero dei cadaveri di animali appositamente uccisi. Questa pratica è direttamente normalizzata dal "Carnismo" (termine originariamente focalizzato sull'ideologia che giustifica il mangiare la carne di certi animali, qui usato come sinonimo della pratica necrofaga). L'aggettivo derivato è necrofago/a o, nel suo uso critico esteso dal Tribunale, carnista.

Tanatogastronomia:
Termine usato per descrivere la pratica culinaria, specialmente quella d'élite o d'autore, che si fonda sulla necrofagia e sulla trasformazione artistica o spettacolare di cadaveri animali in piatti, occultandone spesso l'origine violenta.

Zoofagia (e il suo sinonimo comune "Vegetarianesimo" tradizionale):
(Dal greco zoon, "animale", e phagein, "mangiare"). Indica, in senso più ampio rispetto alla necrofagia, il consumo di qualsiasi prodotto derivante da animali. Include quindi, oltre alla necrofagia, anche il consumo di prodotti ottenuti dallo sfruttamento di animali mantenuti in vita, come latte, formaggi, uova e miele. Il vegetarianesimo tradizionale (latto-ovo-vegetariano o latto-ovo-mellifero) rientra in questa categoria. L'aggettivo derivato è zoofago/a o vegetariano/a (nel senso tradizionale).

Tuttavia, è proprio su quest'ultima pratica che il Tribunale intende soffermarsi con particolare rigore critico. Spesso presentato come scelta etica "intermedia" o "sufficiente", il consumo di latte, uova e miele, anche se da allevamenti cosiddetti "gentili" o "biologici", non sfugge alla logica ferrea della Tanatodossìa Alimentare. Le giustificazioni addotte ("assumere nutrimento essenziale non disponibile altrove", "evitare l'uccisione diretta dell'animale") si rivelano fragili e autoassolutorie di fronte alla realtà dello sfruttamento, che verrà dettagliata nel capitolo dedicato. Pertanto, dal punto di vista del Tribunale, che pone al centro la biodignità e il diritto al non-uso di ogni essere senziente, anche il vegetarianesimo tradizionale che include derivati animali è una forma di partecipazione – forse più subdola e auto-ingannatoria, e per questo eticamente ancor più problematica – al sistema della Tanatodossìa Alimentare.

Veleno Bianco (riferito all'Alta Pasticceria d'élite):
Termine usato per descrivere criticamente l'Alta Pasticceria che si basa sull'uso massiccio di ingredienti raffinati e nutrizionalmente problematici (zuccheri, farine bianche, grassi saturi animali come burro e panna, sale) e spesso su derivati animali (latte, uova), configurandosi come un attentato alla salute pubblica e perpetuando logiche di sfruttamento.

 

Principio Etico Fondamentale del Tribunale e dell'Ordine dei Custodi della Dieta VegItaliana:

Tuttavia, per l'Ordine dei Custodi della Dieta VegItaliana e per questo Tribunale, la distinzione tra pratiche necrofaghe ("carnismo") e pratiche zoofaghe ("vegetarianesimo" tradizionale) diventa secondaria di fronte al "dogma" etico fondamentale: l'animale non umano, in quanto essere senziente titolare di biodignità, non deve essere usato come risorsa in alcun modo. Qualsiasi pratica culinaria o alimentare che si basi sullo sfruttamento di un essere senziente viola questo principio irrinunciabile.

 

ATTO D'ACCUSA: INTENTI E FONDAMENTA DEL GIUDIZIO

Avendo già emesso un verdetto di colpevolezza per la flagrante violazione della biodignità (10 marzo 2025), ed essendo di seguito la sentenza definitiva sul Sistema complessivo della “Cucina Italiana” (1 ottobre 2025), il Tribunale Laura Girardello, investito del mandato morale dalle vittime animali non umani, pubblica ora questo atto d'accusa diretto sia contro il sistema carnista sia contro le figure chiave che lo perpetuano: i cuochi.

 

Questo dossier mira a spiegare in profondità, senza sconti né ipocrisie, la Brutalità della Cucina Italiana, colpendo direttamente la figura chiave che la perpetua e la celebra: il cuoco. Egli viene qui analizzato nel suo doppio ruolo di attore protagonista – spesso ammantato di Arte, Cultura o Tradizione usate come vili alibi – e di burattino inconsapevole o complice di un sistema ideologico (la Tanatodossia alimentare), mediatico ed economico fondato sulla normalizzazione di un orrore multiforme. Tale orrore comprende:

• la tortura sistematica, la sofferenza indicibile e la morte industriale di miliardi di animali non umani.
• un'etica costantemente subordinata al Profitto spietato, all'Ego narcisistico e a un Piacere effimero e irresponsabile.
• un attentato sistematico alla Salute Pubblica causato dai modelli alimentari promossi.
• un insulto agli affamati del mondo generato dallo spreco di risorse.
• un danno ambientale che minaccia il pianeta.
• un'ipocrisia pervasiva, sostenuta da false narrazioni (come quella sul "Made in Italy"), dalla dittatura culturale carnista e dal culto dello spettacolo mediatico.

 

Di fronte a tanta ostinata adesione a un sistema crudele e insostenibile, sorge spontanea una domanda nel cuore di chi opera per un'alternativa etica. L’Ordine dei Custodi della Dieta VegItaliana, il “braccio non armato” del Tribunale, si interroga con sconcerto: ma questa gente, i celebrati maestri della tanatogastronomia e del Veleno Bianco, sono davvero capaci di pensare con la propria testa? Non si rendono conto – o fingono di non capire – che il cambiamento sociale, economico ed etico più profondo parte proprio da lì, dalla tavola, dalle fondamenta del nostro rapporto con il cibo e con le altre vite? Forse lo sanno, ma l'ideologia carnista, l'interesse economico o l'ego ipertrofico impediscono loro di trarne le dovute, urgenti conseguenze? Il Tribunale risponde senza esitazione: Sì, il cambiamento parte proprio dal cibo, ed è tempo che anche i suoi attori più influenti e visibili se ne assumano la piena, ineludibile responsabilità.

 

Il Tribunale, avendo il dovere morale ineludibile di dare voce e tutela alle vittime animali non umani di questo sistema, ne deriva quindi il diritto motivato di critica radicale contro il sistema che ne viola i diritti. Pur affermando la necessità di questa accusa, il Tribunale riconosce e accoglie il diritto di replica, purché sia ragionevole, argomentato e credibile. Tale replica, tuttavia, per essere considerata valida, dovrà tenere conto non solo delle argomentazioni presentate in questo documento, ma anche degli approfondimenti relativi e correlati reperibili sul sito tribunale-laura-girardello.it.

 

Capitolo 1: CUOCHI SUL PIEDISTALLO: RESPONSABILITÀ TRADITA E FALSA MAESTRIA


1.1 Giustizia > Tecnica: Nessun Cuoco è Legge
Nel panorama gastronomico contemporaneo, specialmente quello italiano celebrato a livello globale, si riconosce senza dubbio la potenziale maestria tecnica, l'eventuale scintilla artistica e la dedizione appassionata che possono animare l'arte culinaria.
Tuttavia, è imperativo affermare con fermezza un principio che trascende l'abilità e la fama: la Giustizia, quella autentica radicata nella Verità innegabile della senzienza universale, oggi ampiamente riconosciuta dalle scienze non violente, possiede un valore infinitamente superiore a qualsiasi creazione, tradizione artefatta o decreto culinario.
Nessuna competenza tecnica, nessuna acclamazione critica, nessuna stella Michelin può né deve conferire a uno chef, a un cuoco, a un influencer del gusto, il diritto sovrano di "dettare legge" sui principi fondamentali dell'etica, sul rispetto dovuto alla vita in ogni sua forma, sulla compassione che si deve estendere a ogni essere senziente.

1.2 Tanatogastronomia: L'Orrore Ammantato di Libertà
Assistiamo oggi, invece, a uno spettacolo preoccupante e pervasivo: l'elevazione della "tanatogastronomia" – una cucina intrinsecamente fondata sulla morte programmata e sulla sofferenza sistemica di miliardi di animali – a forma d'arte sublime, a espressione culturale quasi intoccabile.
Questa viene difesa strenuamente in nome di una presunta e malintesa "libertà" creativa dello chef, un concetto che viene brandito come scudo da quella che potremmo definire una vera e propria corporazione di cuochi (tanatodossici), un gruppo influente che detta le tendenze dominanti e impone la sua legge non scritta. Ma la libertà di creare di un individuo termina bruscamente e inequivocabilmente là dove inizia la sofferenza atroce, ingiustificata e deliberatamente inflitta all'Altro, sia esso un animale non umano o, per estensione delle implicazioni globali, un animale umano.

1.3 Il Dovere Ignorato: Tecnica Senza Etica
I cuochi – e in particolare quelli che godono di ampia visibilità mediatica, i "Maestri" auto-proclamati o acclamati dal sistema, spesso figure centrali all'interno di questa influente corporazione (tanatodossica) – non possono e non devono arrogarsi il potere di legiferare sulla vita e sulla morte né sull'etica. Al contrario, essi portano sulle loro spalle una responsabilità schiacciante, primaria, che non possono eludere: la responsabilità verso la salute pubblica e privata dei cittadini-consumatori, e quella, non meno importante, dell'educazione etica e civica riguardo all'uso, e troppo spesso all'abuso sistematico, degli animali come mere risorse produttive.
Questa responsabilità viene però sistematicamente elusa attraverso un insegnamento, specialmente quello mediatico, focalizzato ossessivamente sulle tecniche e sui procedimenti, presentati come valori neutri e assoluti, quasi fossero un'abilità astratta separata da ogni implicazione etica o sanitaria. Il "come si fa" diventa l'unica narrazione ammessa, cancellando la domanda fondamentale: "è giusto farlo?". Infatti, il concetto di esempio positivo è nullo nel loro mestiere, non solo sul piano della responsabilità etica verso gli animali e l'ambiente, ma anche su quello, altrettanto grave, della tutela della salute pubblica, dati i modelli alimentari dannosi che continuano a promuovere. Si ignora palesemente, ad esempio, persino la necessità di seguire le linee guida per una sana alimentazione basate sulla Dieta Mediterranea, già patrimonio UNESCO.

1.4 Falsa Maestria: La Comoda Scorciatoia della Carne
Ma come risponde il "Maestro, intoccabile sceso dal suo piedistallo dorato", di fronte alla domanda sulla legittimità etica della materia prima che afferma di "nobilitare"? Il Tribunale constata una desolante diserzione dalla responsabilità, mascherata da presunta neutralità tecnica o libertà artistica.
Ma è proprio questa pretesa d'Arte che va messa radicalmente in discussione, rivelandone la possibile fondamentale facilità. Il Tribunale accusa: quale vera sfida tecnica, quale autentica creatività si esprime poggiandosi sulla comoda scorciatoia della carne? Un ingrediente già intrinsecamente carico di sapori intensi (umami, grasso) e strutture complesse, frutto della biologia animale, che spesso richiede più abilità nel non rovinarlo che nel creare sapore ed emozione partendo da elementi più semplici.
La vera maestria, il vero coraggio artistico e tecnico, la vera avanguardia, non risiede forse nell'impresa ben più ardua, complessa e affascinante di trarre profondità, complessità e meraviglia dal regno vegetale, senza ricorrere al tributo di sangue e sofferenza? Ostinarsi a fondare la propria eccellenza sulla tanatogastronomia, allora, potrebbe non essere segno di superiore abilità, ma sintomo di una scelta di comodo, di una pigrizia creativa, di una riluttanza ad affrontare la sfida culinaria realmente più elevata e innovativa del nostro tempo.
Il giudizio inappellabile del Tribunale, quindi, non denuncia solo una bancarotta morale, ma smaschera una profonda mistificazione professionale: quella di vendere come apice dell'arte ciò che potrebbe essere, in parte, un percorso reso più agevole dalla natura stessa della materia prima animale, un'arte fondata sulla facilità più che sulla vera difficoltà.
Chiunque – cuoco, critico o influencer – perpetui questa mistificazione, celebrando la morte come lusso o come unica via per l'eccellenza, non è un artista coraggioso, ma un complice consapevole di un sistema crudele e, forse, artisticamente meno sfidante di quanto voglia far credere. Il piedistallo si rivela così non solo macchiato di sangue, ma forse costruito anche sulla comodità e sull'illusione di una difficoltà non sempre reale.

1.5 Il Mito dell'Infallibilità: Arroganza sul piedistallo
E proprio questa pretesa di infallibilità artistica o etica, questa auto-percezione da "Maestri" intoccabili scesi dal loro piedistallo dorato, stride in modo assordante con la realtà fondamentale: anche il cuoco più celebrato rimane un essere umano fallibile.
Come può, allora, chi è per sua natura soggetto all'errore, all'incertezza, al limite, ergersi a detentore di verità assolute sul gusto, sulla tradizione e – ancor più gravemente – sull'etica della vita e della morte?
La consapevolezza della propria intrinseca fallibilità dovrebbe imporre massima cautela, profonda umiltà e un costante spirito critico, specialmente quando le proprie scelte professionali hanno un impatto così devastante sulla vita di altri esseri senzienti e sulla salute del pianeta. Invece, assistiamo troppo spesso all'ostentazione di certezze dogmatiche, a un'indifferenza mascherata da libertà creativa, che trasforma la normale fallibilità umana non in un motivo di prudenza e responsabilità, ma in uno scudo paradossale per l'irresponsabilità e l'arroganza.
Il vero "Maestro", forse, non è colui che si ammanta di certezze divine, ma colui che, riconoscendo la propria fallibilità umana, agisce con coscienza, dubbio metodico e profonda umiltà di fronte alla complessità della vita e alle conseguenze delle proprie azioni.

1.6 Tirannia del Gusto e l'Inganno della Performance
Inoltre, va radicalmente messa in discussione anche la pretesa, spesso implicita nell'atteggiamento del "Maestro", di essere legislatore assoluto del gusto e del sapore. Se è vero che lo chef propone un percorso sensoriale attraverso la sua ricetta e la sua tecnica, è altrettanto vero che la percezione finale di quel gusto e di quel sapore è un fatto irriducibilmente personale e soggettivo. Ogni individuo reagisce agli stimoli sensoriali in base alla propria fisiologia unica, alla propria storia personale, alla cultura di appartenenza, alla sensibilità del momento.
Il gusto non è un dogma oggettivo calato dall'alto, ma un'esperienza intima, un dialogo tra il cibo e l'essere che lo accoglie. In questo senso, la percezione del gusto diventa un indicatore profondo dell'identità personale, di quella che potremmo definire "biodignità": il rispetto dovuto all'unicità biologica, psicologica e percettiva di ciascun individuo senziente.
Pertanto, nessun cuoco, per quanto abile o celebrato, può imporre il 'suo' gusto come l'unico valido o superiore, né può ergersi a giudice insindacabile delle preferenze altrui o denigrare gusti diversi dai canoni stabiliti. Le sue dichiarazioni enfatiche sul sapore ("sublime!", "perfetto!", "si scioglie in bocca!") rimangono, in ultima analisi, solo la sua personale interpretazione o, peggio, una performance costruita, non una verità universale da accettare passivamente.

1.7 Non è Questione di Gusti: è Violazione di Diritti
Di fronte a questa elusione sistematica della responsabilità, il giudizio etico del Tribunale si fa netto e inappellabile. Esso non si basa su opinioni o gusti, ma sulla constatazione oggettiva della violazione dei diritti naturali fondamentali – diritto alla vita, alla libertà, alla dignità, a non subire tortura – perpetrata su scala industriale per soddisfare il lusso e il piacere effimero.
L'indifferenza ostentata da chi opera in questa filiera, a partire dai cuochi che ne celebrano i frutti finali, non è semplice leggerezza, ma una colpevole complicità nell'orrore. Non ci sono arte, tecnica o tradizione che possano assolvere da questo.

 

Capitolo 2: CUCINA D’AUTORE E ALTA PASTICCERIA: ATTENTATO ALLA SALUTE PUBBLICA


2.1 Cibo d'Élite, Salute a Rischio
Mentre la Dieta Mediterranea (DM) autentica, patrimonio UNESCO, rappresenta un modello di equilibrio, sobrietà e benessere preventivo, la realtà promossa da gran parte della cucina d'élite contemporanea – sia nella sua veste salata ("Cucina d'Autore") che in quella dolce ("Alta Pasticceria") – si configura come un deliberato e sistematico attentato alla salute pubblica e privata.
Ignorando o tradendo consapevolmente i principi di moderazione, di prevalenza vegetale e di utilizzo di ingredienti integrali e nutrienti, queste espressioni culinarie, spesso celebrate acriticamente dai media, diventano potenti veicoli di abitudini alimentari dannose.
Contribuiscono in modo significativo all'epidemia dilagante di malattie croniche non trasmissibili (obesità, diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari, alcuni tipi di cancro) legate allo stile di vita, tradendo così la responsabilità primaria di chi opera nel settore alimentare: nutrire il corpo e promuovere il benessere, non solo soddisfare un piacere effimero o un'ambizione estetica.

2.1.1 Il Culto dei Grassi Saturi (Cucina Salata)
In netto contrasto con il modello virtuoso della DM, l'alimentazione promossa mediaticamente dalla cosiddetta "cucina d'autore", spesso dettata dalle figure di spicco della corporazione di cuochi (tanatodossici), è degenerata in un vero e proprio Far West nutrizionale.
Assistiamo a un uso smodato, quasi feticistico, di grassi animali saturi: soffritti annegati nel burro, addirittura con olio e arricchiti con pancetta o lardo, carni grasse usate come base per salse e fondi, il ritorno trionfale dello strutto e l'abuso di panna liquida.

2.1.2 Accumulo Proteico Insensato
La stessa logica sconsiderata dell'eccesso si applica tragicamente alle proteine, sia animali che vegetali concentrate. Si assiste al raddoppio insensato dei secondi piatti – magari antipasti di salumi e formaggi seguiti impunemente da un'altra portata di carne o pesce – e alla tendenza, spacciata per creatività, di combinare nello stesso piatto multiple fonti proteiche animali diverse.
Non è raro vedere assemblate due, tre o persino quattro o più tipologie di carne e/o pesce nella medesima, squilibrata preparazione.
Spesso, inoltre, l'inganno dell'eccesso si cela all'interno di singole preparazioni o componenti: si pensi ai ripieni, ai ragù o ai polpettoni dove vengono non di rado mescolati fino a quattro (o più) diversi tipi di ingredienti animali (carni miste, pesce, salumi, formaggi, uova), a cui si aggiungono talvolta anche legumi o frutta secca, creando una concentrazione proteico-lipidica estrema e nutrizionalmente insostenibile, ben nascosta all'interno di ciò che appare come un singolo elemento del piatto.
Come se non bastasse, a questa già gravosa concentrazione si aggiunge frequentemente l'ulteriore apporto di legumi o frutta secca esterni, creando conglomerati proteico-lipidici francamente aberranti, potenzialmente dannosi per il metabolismo e l'equilibrio nutrizionale. In questa sfrenata ricerca della complessità fine a sé stessa, sembra davvero non esserci alcun limite né alcun rispetto per i principi fondamentali della sana alimentazione.

2.1.3 L'Inganno della Tradizione "Rivisitata"
Questo si traduce anche nella trasformazione dei primi piatti, tradizionalmente più sobri, in vere e proprie bombe caloriche, iperproteiche e sature di grassi. L'esempio della 'semplice' Pasta al forno (con ragù di carne, uova sode, salame, provola, besciamella, parmigiano) è emblematico di come l'accumulo quasi grottesco di ingredienti di origine animale diventi la norma, incarnando l'esatto opposto di un'alimentazione equilibrata e sostenibile. Presentare queste preparazioni come "arte" o "tradizione rivisitata” è un inganno che maschera un deliberato attentato alla salute collettiva.

2.2 Alta Pasticceria: Il Regno del Veleno Bianco
Parallelamente alla deriva della cucina salata, l'Alta Pasticceria d'élite, che qui definiamo senza mezzi termini Veleno Bianco, sferra il suo attacco alla salute attraverso l'abuso sistematico di ingredienti raffinati e nutrizionalmente poveri.
È fondamentale ribadire che queste creazioni complesse ed esteticamente elaborate non rispondono ad alcun bisogno nutrizionale primario. Sono prodotti concepiti quasi esclusivamente per il piacere edonistico estemporaneo, l'ostentazione sociale e la gratificazione visiva, non per il nutrimento o il benessere.

2.2.1 L'Arsenale del Veleno Bianco
L'arsenale del Veleno Bianco si basa sul famigerato "dominio del bianco":
• Zuccheri Raffinati (Saccarosio, Sciroppi): Onnipresenti e in quantità spesso esorbitanti, sono direttamente collegati all'epidemia di obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, steatosi epatica non alcolica e stati infiammatori cronici. Il loro abuso altera il metabolismo e crea dipendenza.
• Farine Raffinate (Tipo 00): Prive della fibra e dei micronutrienti presenti nel chicco integrale, causano rapidi picchi glicemici seguiti da cali energetici, contribuiscono all'insulino-resistenza e impoveriscono il microbiota intestinale.
• Grassi Saturi e/o Idrogenati: L'uso massiccio di burro, panna (e talvolta strutto) o di grassi vegetali di bassa qualità (idrogenati, oli tropicali) contribuisce all'aumento del colesterolo LDL ("cattivo"), all'aterosclerosi e al rischio cardiovascolare complessivo.
• Sale: Spesso aggiunto per esaltare la dolcezza o bilanciare i sapori, contribuisce all'eccessivo apporto di sodio, fattore di rischio per l'ipertensione.

2.2.2. Tossicità Metabolica ed Etica del Dolce d'Élite
Questo cocktail di ingredienti problematici, combinato con l'altissima densità calorica e la quasi totale assenza di nutrienti protettivi (fibre, vitamine, minerali, antiossidanti, fitocomposti – abbondanti invece nella frutta fresca, nella frutta secca al naturale, nelle farine integrali), rende le creazioni dell'Alta Pasticceria dei veri e propri concentrati di "calorie vuote" e fattori di rischio per la salute. La dipendenza da uova e latticini, inoltre, aggiunge le problematiche etiche dello sfruttamento animale e quelle sanitarie legate ai grassi saturi e al colesterolo di origine animale. Celebrare queste creazioni come "arte" senza riconoscerne la potenziale tossicità metabolica è un atto di profonda irresponsabilità.

2.3 L'Alibi del Consumo Occasionale (Non Regge)
Anche ammettendo la consapevolezza della natura occasionale del consumo dei loro piatti più estremi, la responsabilità degli chef d'autore e dei pasticcieri d'élite rimane immutata, se non aggravata. Questo perché il loro ruolo non si limita a fornire un pasto estemporaneo, ma influenza potentemente la cultura alimentare, le aspirazioni e le percezioni collettive di ciò che è "buono" o "desiderabile".
Se sanno che il consumo è occasionale ma scelgono ugualmente l'eccesso malsano, dimostrano disinteresse per la salute e priorità all'ego o allo spettacolo.
Se non lo sanno, dimostrano mancanza di responsabilità professionale.
In entrambi i casi, definiscono standard negativi, normalizzano l'eccesso, influenzano le abitudini generali e sprecano l'opportunità di usare la loro piattaforma per educare a un piacere più sano e sostenibile.
Scegliendo sistematicamente di promuovere modelli basati sul disprezzo dei principi salutistici, essi mancano alla loro responsabilità educativa e culturale, contribuendo significativamente all'"attentato alla salute" generale.

2.4 Il Silenzio Complice delle Istituzioni Sanitarie
Di fronte a questo sistematico attentato alla salute pubblica, perpetrato sotto gli occhi dei media e spesso con l'avallo implicito di una critica gastronomica acritica, sorge spontanea e angosciante la domanda: come mai le istituzioni preposte alla tutela della salute pubblica, a partire dal Ministero della Salute, sembrano assistere inerti?
Perché non si interviene con decisione per arginare la diffusione di modelli alimentari così palesemente dannosi, promossi da figure di grande influenza pubblica? Questa apparente inerzia, le cui ragioni andranno forse cercate nelle complesse dinamiche sistemiche (pressione delle lobby, inerzia culturale, priorità politiche distorte) che questo stesso Atto d'Accusa cerca di svelare, lascia i cittadini-consumatori pericolosamente esposti.

 

Capitolo 3: ARTE DELLA CRUDELTÀ: SPETTACOLO, EGO E MENZOGNA


3.1 Tradizione vs 'Arte': Chi Stiamo Processando?
È fondamentale, prima di procedere con la critica, distinguere la cosiddetta "Cucina d'Autore", oggetto principale di questo capitolo, dalla ricchissima e variegata cucina regionale tradizionale italiana. Quest'ultima nasce prevalentemente in ambito domestico, frutto dell'evoluzione secolare delle pratiche familiari, strettamente legata al territorio, alla stagionalità, alla disponibilità locale e a una logica pragmatica volta al nutrimento e alla convivialità. La sua forza risiede spesso nell'equilibrio e in abbinamenti consolidati.
La "Cucina d'Arte" contemporanea, invece, si ammanta di pretese diverse. Si auto-proclama espressione artistica personale, dove lo chef è 'autore' e demiurgo. Circola la comune affermazione, quasi un mantra autocelebrativo, che "il piatto diventa una tela per rendere edibili le idee", mirando a un'esperienza sensoriale complessa, totale, che stimoli intelletto e memoria. Si invoca l'innovazione, la reinterpretazione radicale della tradizione, il confronto concettuale, ispirandosi a figure considerate "maestri". L'ossessione per l'impiattamento, per la costruzione visiva del piatto come "opera d'arte" da contemplare, diventa centrale.
Ma è proprio qui che si annida lo scandalo: questa spasmodica ricerca dell'opera d'arte effimera, dell'esperienza sensoriale completa (gusto, odore, vista, tatto), dello spettacolo estetico è quasi sempre pensata per il "commensale" – inteso come spettatore passivo, fruitore di un lusso, cercatore di status – e quasi mai per il "consumatore" – inteso come essere umano (e cittadino) con bisogni nutrizionali reali, un diritto alla salute, e una coscienza etica.
Questa focalizzazione ossessiva sull'estetica e sull'esperienza del commensale diventa il paravento perfetto per nascondere le scomode verità sul contenuto del piatto e sulla sua origine.
È proprio questa pretesa 'artistica', intrinsecamente legata alla creatività individuale svincolata da limiti (se non quelli dell'ego dello chef) e focalizzata sull'effetto scenico e sulla ricerca di combinazioni inedite (come l'accumulo di ingredienti eterogenei già criticato), che spesso si sgancia cinicamente da considerazioni fondamentali di equilibrio nutrizionale, di reale sostenibilità ambientale (privilegiando ingredienti esotici e ad alto impatto come il salmone selvaggio dell'Alaska o simili, invece di risorse locali) e, soprattutto, di etica fondamentale, ignorando la sofferenza animale intrinseca nella materia prima o la dignità umana calpestata dallo spreco. Ed è proprio questa pretesa 'artistica', costruita sull'oblio etico e ambientale, che apre la porta alle derive che questo capitolo intende denunciare senza pietà: la crudeltà mascherata da tecnica virtuosa, l'ego ipertrofico che oscura la responsabilità, lo spettacolo che occulta la menzogna e la violenza.

3.2 L'Inganno dell'"Arte" Culinaria: Perché Non È Vera Arte
Questa focalizzazione sulla tecnica rivela un'altra differenza fondamentale rispetto all'arte tradizionalmente intesa, mettendo ulteriormente in dubbio la pretesa 'artistica' della cucina d'autore. Mentre l'opera d'arte classica spesso fornisce informazioni minime e garantisce uno spazio centrale all'interpretazione soggettiva, invitando alla riflessione e al dialogo con il non detto, l' 'opera d'arte' culinaria mediatica tende a fare l'opposto. Essa svela esaustivamente ogni dettaglio – ingredienti, tecniche, concetti – in una spiegazione guidata che annulla lo spazio interpretativo e riduce l'esperienza a una fruizione prevalentemente sensoriale o a una dimostrazione tecnica decodificata dall'autore, lontana dalla profondità ermeneutica. Per il Tribunale, questa mancanza della dimensione interpretativa fondamentale è cruciale: l'opera d'arte culinaria, così concepita e presentata, non può essere considerata opera d'arte nel suo proprio termine.

3.3 Libertà come Alibi, Tecnica come Paravento
Questa pretesa "artistica", sganciata da responsabilità etiche fondamentali, diventa così il paravento perfetto dietro cui si cela la più desolante indifferenza. Le "lezioni" impartite da questi celebrati chef, analizzate criticamente al di là della performance tecnica, non sono quasi mai lezioni di rispetto per la materia prima vivente, di consapevolezza sanitaria o di responsabilità sociale. Si rivelano troppo spesso, invece, ciniche dimostrazioni di un vuoto etico, di una profonda insensibilità verso la sofferenza animale inflitta lungo tutta la filiera per ottenere i loro ingredienti "d'élite", e verso le sorti di un pianeta devastato dalle logiche produttive che essi avallano con le loro scelte. L'abilità tecnica, in questo contesto, non è che fumo negli occhi: una cortina sbandierata come valore supremo per mascherare una desolante bancarotta morale.

3.4 Tanatogastronomia: Oltraggio alla Vita (Animale e Umana)
Per noi, queste cosiddette "opere d'arte culinarie", frutto di elaborazioni talvolta "fantasiose" ma ottenute da ingredienti strappati alla vita con violenza scientificamente organizzata, non rappresentano soltanto una (presunta) bravura tecnica – una virtuosità spesso vuota, fine a sé stessa, che celebra il 'come fare' ignorando il 'perché' e il 'se si debba fare'. L'enfasi mediatica sulla dimostrazione di tecniche complesse applicate a corpi animali, sezionati e manipolati con apparente nonchalance scientifica, diventa uno strumento potente per normalizzare la violenza e desensibilizzare il pubblico. L'insegnamento si riduce così a una mera esibizione di abilità manipolatoria che occulta l'origine, la sofferenza intrinseca e le conseguenze sanitarie e ambientali degli ingredienti utilizzati. Scherziamo? Esse costituiscono un insulto profondo alla dignità intrinseca degli animali, scientificamente allevati e uccisi a miliardi ogni anno per soddisfare un appetito spesso indotto e non necessario; rivelano una sconcertante indifferenza non solo verso la vita non umana, ma anche verso quella umana; sono un oltraggio alla sofferenza silenziosa ma reale di milioni e milioni di esseri umani che ancora oggi soffrono e muoiono di fame e denutrizione, mentre una parte privilegiata del mondo "gioca" con cibo eccessivo, lussuoso e lontano dai bisogni primari; sono, in definitiva, la manifestazione tangibile di un abominio etico che la nostra società non può più permettersi di ignorare o, peggio, di celebrare.

3.5 L'Ego sul Piatto: Narcisismo e Abdicazione Etica
E dobbiamo contestare con ferocia anche la narrazione, tanto diffusa quanto autoassolutoria, secondo cui la ricetta nella "cucina d'autore" fungerebbe da profondo "manifesto" dello "stile", della "filosofia" o della "firma" unica dello chef.
Questa pretesa di affermazione identitaria attraverso il piatto rivela, il più delle volte, un narcisismo disturbante che pone l'ego ipertrofico del creatore e la costruzione meticolosa del suo brand personale al di sopra di qualsiasi considerazione etica fondamentale, della responsabilità verso la salute pubblica o dell'urgenza della sostenibilità ambientale. È inconcepibile!
Ciò che viene spacciato per "filosofia" o "identità" culinaria non è altro, troppo spesso, che una cortina fumogena: un esercizio di stile che occulta la violenza intrinseca negli ingredienti o lo squilibrio nutrizionale del piatto dietro il culto della personalità dello chef.
Questa auto-referenzialità diventa grottesca e moralmente irricevibile nel momento in cui la si misura con la realtà della sofferenza animale o con le emergenze planetarie. La ricetta viene così degradata da potenziale strumento di condivisione, nutrimento e cultura, a mero veicolo di auto-promozione, un piedistallo per l'ego dello chef, mascherando frequentemente un vuoto pneumatico di pensiero critico e di reale profondità filosofica dietro la complessità performativa.
Affermare la propria "identità" servendo foie gras, specie in via d'estinzione, o piatti che contribuiscono all'epidemia di malattie croniche non è un atto di libera espressione artistica: è un'abdicazione etica travestita da arte, un insulto all'intelligenza e alla coscienza.

3.6 La Filiera della Violenza e l'Omertà dello Chef
E questo abominio non è opera del solo cuoco; l'atto d'accusa deve quindi rivelare l'intera filiera della violenza programmata, una catena che parte dall'allevatore, passa per il trasportatore e il macellatore, arriva al macellaio e si conclude con il cuoco che compie l'ultimo atto di trasformazione del 'cadavere'.
Ed è proprio sul ruolo di quest'ultimo anello, spesso ammantato di 'arte' e 'creatività', che si concentra un dubbio etico lancinante: dove risiede l'onestà professionale? Se la materia prima fondamentale è un essere senziente che è stato ucciso, l'onestà radicale verso il proprio mestiere e verso la vita non richiederebbe forse che fosse il cuoco stesso, l'artista che 'nobilita' quella materia, a compiere (o quantomeno a testimoniare direttamente e costantemente) l'atto dell'uccisione? Assumersene la piena responsabilità diretta, invece di delegare ad altri, nell'ombra, l'aspetto più cruento e disturbante della filiera, appare come una condizione necessaria per poter parlare onestamente del proprio lavoro.
Questa distanza voluta dalla violenza originaria, questo rifiuto di 'sporcarsi le mani', è forse proprio ciò che permette la successiva celebrazione acritica della tanatogastronomia, mascherando la realtà del prodotto della morte dietro la cortina fumogena della tecnica e dell'estetica.

3.7 La Pantomima Mediatica: Falsità e Arroganza in Scena
Siamo scioccati e disgustati non solo dall'onnipresenza mediatica (RAI, social) di ricette dominate da ingredienti animali, ma soprattutto dalla rappresentazione falsa e offensiva che ne viene fatta.
Assistiamo a una vera e propria recitazione, una performance che maschera l'orrore dietro comportamenti che rivelano l'opposto della serietà professionale e denotano principalmente:

• Falsità / messinscena: Una palese recitazione lontana da ogni autenticità, evidente nelle espressioni facciali e nei toni di voce che mimano un piacere esagerato, una caricatura del godimento**.**
• Superficialità / spettacolo farsesco: La costante ricerca dell'effetto comico o teatrale (gesti plateali, battute fuori luogo) che dimostra l'opposto della serietà professionale richiesta dalla materia trattata (vita, morte, salute).
• Arroganza / narcisismo: Gesti di possesso, finta sensualità o machismo nel manipolare i pezzi di cadavere, uniti a una disinvoltura che rasenta il disprezzo, sempre con l'ego dello chef al centro della scena**.**
• Banalizzazione / trivializzazione: La riduzione della sofferenza e della morte a mero ingrediente per una presunta 'arte' perversa che si nutre di morte o per strumenti di una gola sconsiderata e indifferente, svuotando di significato etico l'atto del cucinare e del mangiare.
• Iperbole / esagerazione: Un linguaggio costantemente sopra le righe, vuoto e manipolatorio ("bomba", "goduria", "capolavoro", "sublime") usato per promuovere l'eccesso e mascherare il vuoto di pensiero critico**.**

Questa performance calcolata è la vera spettacolarizzazione della morte e dell'eccesso elevata a intrattenimento; è una narrazione tossica studiata per banalizzare la violenza, distrarre dalla sofferenza, promuovere un rapporto predatorio e acritico con il cibo, e celebrare l'ego dello chef. In questo teatro dell'assurdo, la serietà richiesta viene sistematicamente svilita, ridicolizzata, trasformata in farsa. È un'offesa all'intelligenza e alla sensibilità di chi guarda, e un tradimento profondo della responsabilità educativa. Dove siamo finiti?

3.8 L'Insulto all'Etica e la Risposta dell’O.C.D.V.I. (Ordine dei Custodi della Dieta VegItaliana)
Dal punto de vista di chi pratica una cucina basata sul rispetto per la vita, come quella vegItaliana, la spettacolarizzazione della crudeltà e dell'eccesso operata da questi 'maestri' mediatici rappresenta un insulto intollerabile, un tradimento dei valori più profondi che dovrebbero animare l'atto del nutrire. Questo avviene attraverso la sproporzione mediatica che relega le alternative etiche a nicchie, la normalizzazione dell'eccesso come "alta cucina", l'uso di stereotipi che dipingono il cibo vegetale come "punitivo" o "triste", e l'etichettatura negativa di chi promuove scelte consapevoli.
A questa deriva si contrappone con forza crescente l'azione positiva di chi opera per un cambiamento etico: primo fra tutti, l'Ordine dei Custodi della Dieta VegItaliana, vero e proprio 'braccio non armato' del Tribunale Laura Girardello, impegnato a costruire e promuovere un'alternativa culinaria basata sul rispetto, sulla salute e sulla sostenibilità**.**

 

Capitolo 4: IL DISPREZZO PER LA VITA: CONSEGUENZE ETICHE DELLA CUCINA D'ÉLITE


4.1 Oltre la Salute: Il Disprezzo per Ogni Vita
Se i precedenti capitoli hanno messo a nudo l'attentato alla salute pubblica perpetrato dalla cucina d'élite, questa sezione si concentra sulle sue non meno gravi conseguenze etiche, analizzando come la ricerca spasmodica dell'estetica, dell'innovazione fine a sé stessa e del lusso superfluo nella Cucina d'Autore (salata) e nell'Alta Pasticceria si traducano in un profondo e inaccettabile disprezzo per la Vita, sia essa umana, animale e planetaria.

4.2 Lusso Contro Fame: L'Affronto alla Dignità Umana
L'ossessione per l'estetica e per lo "stupire l'occhio" domina frequentemente l'Alta Cucina e, in modo particolarmente evidente, l'Alta Pasticceria. Creazioni come architetture complesse, sculture edibili e giochi cromatici ricercati mettono spesso la forma e l'impatto visivo al di sopra della sostanza etica o persino del rispetto per gli ingredienti.
Questa rincorsa alla meraviglia estetica ha un costo etico pesantissimo. In un mondo dove milioni e milioni di esseri umani, specialmente bambini, soffrono e muoiono per fame e malnutrizione, l'ostentazione di piatti (dolci o salati) così elaborati, costosi, effimeri, preparati con ingredienti di lusso spesso importati da lontano (cacao rari, vaniglie pregiate, carni esotiche, pesci costosi, frutta fuori stagione) appare come un gesto di profonda insensibilità e indifferenza, un inutile spreco di risorse cognitive, tecniche ed economiche dedicate al superfluo mentre manca il necessario.
Questo sfarzo culinario diventa così un affronto etico diretto alla dignità umana e all'ingiustizia alimentare globale.

4.3 Sofferenza come Ingrediente: Il Disprezzo per la Vita Animale
Parallelamente, non si può ignorare il prezzo pagato dagli animali non umani.
Nella cucina d'autore salata, la "tanatogastronomia" si fonda sull'uso di ingredienti strappati alla vita con violenza scientificamente organizzata, spesso esaltando proprio quelli derivanti da particolare crudeltà (come il foie gras) o da specie a rischio, dimostrando un totale disprezzo per la sofferenza e il diritto all'esistenza.
Nell'alta pasticceria, la dipendenza tradizionale da burro, panna, latte e uova la rende intrinsecamente legata alla sofferenza degli allevamenti intensivi, anche quando mascherata sotto forme elaborate.
Ogni creazione sontuosa porta con sé l'ombra dello sfruttamento sistematico che questo Tribunale denuncia, ignorando la possibilità di creare eccellenza con alternative vegetali.

4.4. Il Massacro Silenzioso dei Mari: La Pesca Sotto Accusa
La critica all'arte della crudeltà non può limitarsi agli animali terrestri.
Un capitolo altrettanto vasto e angosciante riguarda lo sfruttamento sistematico degli animali acquatici, spesso mascherato da immagini romantiche di pesca tradizionale o dalle presunte virtù salutistiche e di sostenibilità (relativa) del pesce. Il Tribunale denuncia con forza anche questa tanatogastronomia acquatica.
Innanzitutto, si fonda sul rifiuto di riconoscere la piena senzienza dei pesci e di altri animali marini, ormai ampiamente attestata dalla scienza. Essi provano dolore, paura, stress; hanno capacità cognitive e vite complesse che vengono brutalmente interrotte per il consumo umano.
Considerarli "risorse" o "stock ittici" è la manifestazione primaria dello specismo applicato al mondo acquatico.
Inoltre, la sofferenza inflitta dai metodi di pesca (industriale e spesso anche artigianale) è immensa: l'asfissia lenta fuori dall'acqua, le ferite da ami e reti, la decompressione rapida per le specie di profondità, il terrore della cattura. L'acquacoltura intensiva, lungi dall'essere una soluzione etica, replica spesso le condizioni di sovraffollamento, malattia e stress degli allevamenti terrestri, aggiungendo problemi specifici di inquinamento e impatto genetico.
Anche l'argomento della sostenibilità è spesso una mistificazione. La pesca industriale sta svuotando gli oceani a ritmi allarmanti, distruggendo habitat con reti a strascico, causando enormi quantità di bycatch (catture accidentali di specie non bersaglio, incluse tartarughe, delfini, uccelli marini) e inquinando con attrezzature abbandonate (reti fantasma). Persino la pesca locale, se non strettamente regolamentata e limitata (cosa che raramente avviene su scala significativa), contribuisce alla pressione sugli stock ittici costieri.
Dal punto de vista del Tribunale, basato sul dogma etico del Non-Uso dell'essere senziente senza necessità, l'uccisione di pesci per l'alimentazione umana è eticamente ingiustificabile, data la disponibilità di alternative vegetali complete e sostenibili (incluse fonti vegetali di Omega-3). L'appello alla "tradizione" o alla "salute" (peraltro ottenibile senza pesce) non può assolvere dalla violazione fondamentale del diritto alla vita e alla non-sofferenza. La celebrazione culinaria del pesce, come quella della carne, è quindi un'altra faccia dell'abominio etico, un altro spettacolo che maschera una realtà di violenza sistematica.

4.5 Insostenibilità come Scelta: Il Disprezzo per l’Italia (e il Pianeta)
Anche sul fronte della sostenibilità, la cucina d'élite mostra un profondo disprezzo etico verso il pianeta e il futuro. Spesso, la ricerca spasmodica di novità e 'firma' da parte degli chef li porta a privilegiare ingredienti 'esotici' e globali, ignorando volutamente l'impatto devastante dei trasporti intercontinentali e la dubbia sostenibilità di filiere lontane.
L'uso frequente di ingredienti, vegetali ed animali, importati da oltremare o che richiedono processi industriali altamente impattanti (raffinazione zuccheri/farine, produzione mangimi, trasporti refrigerati) contraddice quindi qualsiasi seria pretesa di aderenza a principi di filiera corta, stagionalità e basso impatto ambientale.
L'impronta ecologica di molte creazioni d'autore, sommando l'impatto della zootecnia (emissioni, consumo suolo/acqua, deforestazione) e quello dei trasporti globali per ingredienti esotici (usati sia nel salato che nel dolce), è insostenibile e contribuisce attivamente alla crisi climatica e alla perdita di biodiversità.
Questo modello si allontana radicalmente dai principi di semplicità, genuinità e sostenibilità che caratterizzavano (almeno in parte) le vere tradizioni popolari e la Dieta Mediterranea originale, spesso basate sull'uso sapiente di risorse locali, vegetali e su una maggiore frugalità.
L'alta cucina e l'alta pasticceria, quindi, più che rappresentare un'evoluzione etica o sostenibile della tradizione, ne costituiscono spesso un tradimento in nome della complessità, dell'estetica fine a sé stessa e del lusso superfluo, dimostrando un'allarmante irresponsabilità verso il futuro del pianeta.

 

Capitolo 5: ANATOMIA DELLA DITTATURA TANATODOSSICA ALIMENTARE


5.1 Introduzione: Le Radici Quotidiane della Dittatura
La critica all'alta cucina e alla sua narrazione mediatica non è completa senza considerare come la "dittatura dell'alimentazione tanatodossica" sia radicata nelle strutture della vita quotidiana. Queste strutture, spesso in modo subdolo e non dichiarato, promuovono, facilitano e normalizzano il consumo di prodotti animali, rendendo al contempo più ardua e quasi "controcorrente" la scelta di un'alimentazione etica e vegetale.

5.2 Plagio a Mensa: La Scuola che Insegna la Tanatodossia alimentare
L'istituzione scolastica, luogo primario di formazione non solo intellettuale ma anche sociale e comportamentale, gioca un ruolo cruciale. Le mense scolastiche, pur con lodevoli eccezioni e miglioramenti recenti in alcune realtà, presentano ancora troppo spesso menu sbilanciati, dove la carne e i derivati animali rappresentano l'opzione proteica principale e quasi onnipresente.
Le alternative vegetali complete ed equilibrate sono talvolta limitate, di qualità inferiore, o richiedono procedure burocratiche che le fanno apparire come "eccezioni" per soggetti con esigenze particolari (etiche o sanitarie), invece che come opzioni valide e desiderabili per tutti. Questo non solo condiziona le abitudini alimentari dei bambini e dei ragazzi fin dalla più tenera età, ma veicola anche un messaggio culturale implicito: la carne è la norma, il resto è deviazione.
Anche i programmi educativi raramente affrontano in modo critico e completo le implicazioni etiche, ambientali e sanitarie delle scelte alimentari, limitandosi spesso a nozioni nutrizionali generiche che non mettono in discussione il modello dominante.

5.3 Pausa Pranzo Tanatodossica: Il Lavoro Contro la Scelta Etica
La struttura della giornata lavorativa moderna costringe milioni di persone a consumare pasti fuori casa. Le mense aziendali, i bar, le tavole calde frequentate durante la pausa pranzo offrono spesso una scelta limitata e qualitativamente bassa di opzioni vegetali complete.
Il "pasto operaio" o il "pranzo di lavoro" standard sono culturalmente ancora associati a piatti robusti a base di carne. Anche nei pranzi o cene di rappresentanza, la scelta di un menu vegetale può essere vista come non convenzionale o richiedere giustificazioni.
La pressione del tempo e la scarsità di alternative rendono la scelta quotidiana di un pasto vegetale equilibrato una sfida logistica ed economica per molti lavoratori, favorendo il ricorso a opzioni rapide e standardizzate, spesso a base di prodotti animali processati.

5.4 La Gabbia della Tradizione: Pressione Sociale e Familiare
Le tradizioni familiari e le festività sono profondamente intrecciate con il consumo di specifici piatti a base di carne (l'arrosto della domenica, l'agnello pasquale, il cotechino a Capodanno, ecc.). Scegliere di non partecipare a questi riti alimentari può generare incomprensioni, tensioni sociali e un senso di esclusione.
La pressione sociale a conformarsi alle abitudini del gruppo è forte, e chi adotta una dieta vegana si trova spesso a dover giustificare la propria scelta, a prepararsi pasti separati, o a navigare situazioni sociali potenzialmente imbarazzanti. Anche l'invito a casa di amici o parenti, o la scelta di un ristorante per un'uscita di gruppo, può diventare complesso se non vi è una sensibilità diffusa verso le esigenze di chi non mangia prodotti animali.
La "tradizione", spesso invocata per difendere il consumo di carne, diventa così uno strumento di conservazione dello status quo e di resistenza al cambiamento etico.

5.5 Vegetarianesimo Tradizionale: L'Inganno Etico dei Derivati Animali
L'atto d'accusa di questo Tribunale contro la Tanatodossìa Alimentare non può e non deve fermarsi alla sola necrofagia, ovvero al consumo di carne e pesce. È imperativo estendere la critica a quelle pratiche alimentari che, pur rifiutando l'uccisione diretta degli animali, ne perpetuano lo sfruttamento sistematico attraverso il consumo dei loro derivati: latte, uova e miele. Il vegetarianesimo tradizionale (latto-ovo-mellifero), spesso presentato come una scelta etica "intermedia" o un compromesso accettabile, si rivela, a un'analisi più profonda condotta alla luce del principio della biodignità, una forma insidiosa e autoassolutoria di partecipazione alla stessa logica di dominio e reificazione che caratterizza il sistema tanatodossico. Questo capitolo intende smascherare l'inganno etico che si cela dietro il consumo di questi prodotti, anche quando provenienti da allevamenti definiti "gentili".

5.5.1 Le Uova: Ciclo di Sofferenza Dietro un Guscio Fragile
L'uovo, simbolo ancestrale di vita e rinascita, è stato trasformato dall'industria e dall'abitudine in un prodotto di consumo massificato la cui realtà produttiva è intrisa di sofferenza. La gallina ovaiola moderna, frutto di selezioni genetiche spinte, è una macchina biologica costretta a deporre un numero innaturale di uova (circa 300 all'anno in allevamento intensivo, contro le circa 30 che deporrebbe in natura, principalmente per la riproduzione). Questa iper-produzione, anche quando le uova non sono fecondate, causa un enorme stress fisiologico e un rapido deperimento dell'animale.
Ma l'orrore non si ferma qui. L'industria delle uova, per sua stessa logica economica, considera i pulcini maschi un prodotto di scarto inutile: ogni anno, milioni di essi vengono tritati vivi o gasati brutalmente poche ore dopo la schiusa. Le femmine, invece, sono destinate a una vita di sfruttamento, spesso confinate in gabbie sovraffollate o in capannoni dove le loro esigenze etologiche fondamentali (razzolare, becchettare, avere spazio, costruire un nido) sono sistematicamente negate. Anche negli allevamenti cosiddetti "biologici" o "all'aperto", le condizioni sono spesso ben lontane dall'immagine idilliaca propagandata, e la "fine carriera" di queste galline è quasi sempre la macellazione prematura, quando la loro produttività cala.
Affermare che consumare uova (anche "da galline felici") non implichi uccisione o sofferenza è quindi una profonda mistificazione. Ogni uovo porta con sé l'ombra della selezione genetica estrema, dello sterminio dei maschi e dello sfruttamento del corpo femminile fino all'esaurimento.

5.5.2 Il Latte: Nutrimento Deviato e Legami Spezzati
Il primo nutrimento dell'animale umano, il latte materno di donna sana, rappresenta il paradigma di un'alimentazione che nutre corpo, anima e spirito in perfetta armonia, senza sfruttamento né violenza. È un cibo specie-specifico, donato con amore, che stabilisce un legame fondamentale. La Tanatodossìa Alimentare ha pervertito questo concetto sacro, normalizzando il consumo del latte di altre specie animali da parte dell'essere umano, unico mammifero a farlo anche dopo lo svezzamento e per tutta la vita.
Il latte animale (vaccino, caprino, ovino, ecc.) è intrinsecamente diverso da quello umano, spesso più ricco di grassi saturi e proteine non ottimali per il nostro organismo. Ma al di là dell'aspetto nutrizionale, è la produzione stessa di latte a essere eticamente insostenibile. Per produrre latte, una mucca (o un'altra femmina di mammifero) deve partorire. Il suo vitello le viene quasi sempre strappato via poche ore o giorni dopo la nascita, causando un trauma immenso a entrambi. I maschi sono destinati al macello per la carne bianca; le femmine seguiranno il destino della madre, ingravidate artificialmente e sfruttate per cicli continui di lattazione fino a quando, esaurite, verranno anch'esse macellate.
Anche i formaggi tradizionali e DOP, spesso vanto della gastronomia, sono prodotti utilizzando il caglio animale, estratto dallo stomaco di giovani ruminanti macellati. L'esistenza di formaggi con caglio microbico o vegetale, spesso presentati come "adatti ai vegetariani", non fa che evidenziare la contraddizione: si cerca di aggirare un aspetto cruento mantenendo però intatta la logica di sfruttamento fondamentale dell'animale per il suo latte. È un tentativo ridicolo e ipocrita di "ripulire" eticamente un prodotto che nasce dalla negazione della biodignità.

5.5.3 Il Miele: Furto Sistematico e Sfruttamento delle Api Impollinatrici
Il miele, spesso ammantato da un'aura di prodotto "naturale" e innocuo, è in realtà il frutto dello sfruttamento sistematico delle api, esseri straordinari e fondamentali per l'impollinazione e la biodiversità. Le api producono miele come loro riserva vitale di cibo, specialmente per superare l'inverno. La sua sottrazione da parte dell'uomo, per quanto "gentilmente" eseguita, costituisce, nella prospettiva etica del Tribunale, un furto delle loro risorse essenziali.
L'apicoltura, anche quella che si definisce "rispettosa" o "etica", si fonda intrinsecamente sulla manipolazione e sullo sfruttamento del lavoro instancabile delle api, non solo per il miele ma spesso anche per il servizio di impollinazione forzata delle colture agricole. Le pratiche apistiche comuni, anche quando non mirano all'uccisione diretta e massiva, includono frequentemente: l'uccisione e la sostituzione programmata delle api regine per massimizzare la produttività o controllare la sciamatura; il taglio delle ali delle regine; l'uso invasivo del fumo (che induce nelle api una reazione di allarme interpretandola come un incendio); il trasporto stressante degli alveari su lunghe distanze per l'impollinazione commerciale (che favorisce la diffusione di malattie e parassiti); e la sostituzione del miele sottratto con sciroppi zuccherini, qualitativamente inferiori per le api e che possono portare all'indebolimento delle colonie e a una maggiore mortalità.
Sebbene esistano apicoltori che cercano di minimizzare l'impatto, la morte di singole api o l'indebolimento/perdita di intere famiglie sono conseguenze frequenti e spesso inevitabili di un sistema che gestisce questi esseri senzienti come macchine produttrici. Dal punto di vista del Tribunale, la distinzione tra pratiche apistiche "cruente" e "incruente" perde gran parte del suo significato etico di fronte al fatto fondamentale che sottrarre il miele alle api è sempre una forma di furto e di sfruttamento del loro lavoro e delle loro riserve vitali.

5.5.4 L'Illusione della Necessità e la Paura delle Carenze
Una delle giustificazioni più comuni per il consumo di derivati animali, specialmente da parte di chi si definisce vegetariano, è la presunta necessità di assumere "sostanze essenziali" che si teme non siano reperibili in una dieta completamente vegetale. Questa "apparente paura" è spesso alimentata da disinformazione o da una conoscenza nutrizionale incompleta.
La scienza della nutrizione ha ampiamente dimostrato che una dieta vegana ben pianificata è non solo adeguata, ma spesso benefica per la salute in tutte le fasi della vita, fornendo tutti i nutrienti necessari (proteine, ferro, calcio, omega-3, ecc.), con l'unica eccezione della vitamina B12 che va integrata (come spesso accade anche per gli onnivori o per gli animali stessi negli allevamenti). La Dieta VegItaliana, basata sulla ricchezza e varietà dei prodotti vegetali del nostro territorio, è un esempio perfetto di come si possa vivere in salute e con gusto senza ricorrere ad alcun prodotto animale.

5.5.5 Conclusione: Latte, Uova, Miele... Servono a Loro Stessi, Non a Noi
In conclusione, dal punto de vista del Tribunale, il consumo di latte, uova e miele, anche se mascherato da scelte "vegetariane" o da pratiche di allevamento "gentili", rimane una forma di sfruttamento che nega la biodignità degli animali non umani. Questi prodotti non sono "nostri" per diritto. Il latte è per il vitello, le uova sono per la riproduzione della gallina, il miele è per la sopravvivenza delle api. Essi "servono a loro stessi".
Continuare a consumarli significa perpetuare la Tanatodossìa Alimentare, quell'ideologia che considera gli animali come mere risorse. Il vero passo verso una società etica e giusta richiede il superamento completo di questa logica di dominio e l'abbraccio di un'alimentazione basata sul rispetto per ogni essere senziente: la Dieta VegItaliana.

5.6 Sanità Disinformata: Ostacoli e Pregiudizi Anti-Veg
Sebbene vi sia una crescente consapevolezza, anche all'interno del sistema sanitario permane talvolta una carenza di informazione specifica e supporto proattivo per le diete a base vegetale. Non tutti i medici di base o gli specialisti sono aggiornati sui protocolli per un'alimentazione vegana equilibrata in tutte le fasi della vita.
Negli ospedali, l'offerta di pasti vegani nutrienti e appetibili è ancora spesso inadeguata. Persistono a volte pregiudizi o informazioni obsolete che dipingono la dieta vegana come intrinsecamente carente o rischiosa, ignorando le posizioni delle maggiori associazioni scientifiche internazionali che ne attestano la validità se ben pianificata. Questo contribuisce a generare insicurezza in chi vorrebbe intraprendere questa scelta e a fornire un alibi a chi preferisce non metterla in pratica.

5.7 Propaganda Quotidiana: Pubblicità, Media, Economia e Marketing Subdolo
Oltre alla cucina mediatica degli chef, la pubblicità martellante di prodotti a base di carne, latticini, uova e loro derivati processati pervade i nostri media, normalizzandone il consumo e associandolo a immagini di forza, salute, convivialità, famiglia felice.
Anche film, serie TV, programmi non specificamente culinari rafforzano spesso questi stereotipi. A livello economico, le politiche agricole e i sussidi (anche europei) hanno storicamente favorito, e in parte ancora favoriscono, l'industria zootecnica più di quanto non supportino attivamente la riconversione verso produzioni vegetali sostenibili.
La percezione (non sempre corretta se si considerano tutti i fattori) che una dieta a base vegetale sia necessariamente più costosa o complicata da gestire con i ritmi di vita frenetici, ulteriormente scoraggia il cambiamento.
Questa normalizzazione della tanatodossia alimentare si insinua persino nei luoghi più inaspettati, assumendo forme particolarmente subdole nel marketing dei prodotti di consumo quotidiano, persino quelli vegetali. È emblematico, e per certi versi più insidioso di una pubblicità esplicita, trovare su confezioni di insalate pronte, verdure fresche tagliate o contorni surgelati diciture fuorvianti come "ideale per carne", "ottimo con pesce o pollo", o suggerimenti di ricette che le vedono sistematicamente come mero accompagnamento di una portata animale.
Questo tipo di messaggio, apparentemente innocuo e mascherato da semplice consiglio per il consumatore, opera in realtà a un livello culturale profondo: rafforza dogmaticamente l'idea della carne come protagonista indiscussa del pasto, il centro attorno a cui tutto il resto deve ruotare. Invece di valorizzare le verdure per le loro immense qualità nutrizionali e la loro versatilità come base per piatti autonomi, sani e sostenibili, il marketing stesso le subordina gerarchicamente alla supremazia della carne, perpetuando così la struttura mentale del 'piatto carnista' anche nel momento apparentemente innocuo dell'acquisto di un prodotto vegetale.
È un altro tassello, quasi invisibile ma potentissimo, della pervasiva dittatura culturale che questo documento intende smascherare e denunciare.

 

Capitolo 6: Maschere Culinare: Falso Made in Italy, Paura e Tradimento


6.1 L'Incoerenza come Sistema
Il Tribunale, come ogni osservatore critico, giudica sulla base dei fatti visibili: coerenza e credibilità. E in molti, troppi cuochi mediatici, membri più o meno consapevoli di questa corporazione (carnista), ciò che emerge è una palese incoerenza.
Come è possibile parlare con serietà di sostenibilità ambientale, di riduzione dell'impatto ecologico, di benessere animale (spesso riferendosi solo alle condizioni di allevamento, mai mettendo in discussione l'uccisione in sé) mentre si continuano a promuovere e celebrare piatti che sono intrinsecamente devastanti per la salute umana, per l'ambiente (a causa delle emissioni, del consumo di acqua e suolo legati alla zootecnia) e basati sulla negazione della vita animale?
L'esempio, si dice, è la più alta forma di insegnamento; e l'esempio fornito da gran parte della cucina d'autore mediatica è, sotto questo profilo, frequentemente deplorevole.

6.2 Falsi "Agenti di Cambiamento"
Si sente spesso affermare che gli chef debbano essere "agenti di cambiamento", figure chiave nella lotta contro la fame nel mondo e la malnutrizione, che abbiano il compito di ispirare diete salutari e di combattere lo spreco alimentare.
Ma come possono realisticamente adempiere a questo ruolo se le loro creazioni più celebrate rappresentano l'apoteosi dello spreco – lo spreco immane di risorse planetarie necessarie per produrre carne – e della malsanità, data dall'eccesso di grassi saturi e proteine animali?
Come possono educare se il loro stesso insegnamento si concentra sulla tecnica applicata a modelli insostenibili e malsani?
Persino le iniziative lodevoli in apparenza, come la cucina "antispreco" che utilizza parti meno nobili dell'animale o avanzi, diventano problematiche quando applicate acriticamente al contesto carneo, finendo per giustificare e perpetuare il consumo di prodotti animali invece di metterlo in discussione alla radice.

6.3 Maschere Nazionaliste: Il Bluff del Made in Italy e della Tradizione
E che dire del fenomeno del "gastronazionalismo" ipocrita che pervade tanta narrazione culinaria e, purtroppo, anche certe scelte legislative? Si candida la "Cucina Italiana" – un concetto peraltro vago, frammentato e storicamente non unitario – a patrimonio UNESCO, dimenticando o volutamente ignorando che la vera Dieta Mediterranea, quella già riconosciuta come tale e scientificamente validata, è nella sua essenza prevalentemente vegetale e frugale.
Si esalta il marchio "Made in Italy" come garanzia di qualità e tradizione, tacendo sul fatto che moltissime preparazioni italiane, anche quelle più iconiche, fanno largo uso di ingredienti di provenienza globale.
Questa non è una svista accidentale, ma una schizofrenia culturale e commerciale deliberata, quasi un marchio di fabbrica della cosiddetta "Cucina d'Arte". Proprio questa cucina, con la sua ossessione per la novità, l'esotismo e la "firma" unica dello chef, attinge a piene mani da un mercato globale per stupire e giustificare prezzi esorbitanti, utilizzando spezie rare, frutti fuori stagione, carni e pesci provenienti dagli angoli più remoti del pianeta (dal Wagyu giapponese al salmone selvaggio dell'Alaska).
È una ricerca spesso alimentata più dal marketing dell'esclusività che da una reale necessità culinaria o da un vero legame col territorio che si pretende di rappresentare.
Tutto ciò rende francamente ridicola e offensiva, al limite della stupidità intellettuale, la pretesa simultanea di questi stessi chef di ergersi a paladini del "Made in Italy", della "filiera corta" o della "tradizione locale".
I cuochi italiani che costruiscono la loro fama su questa disonestà fondamentale, su questo tradimento della geografia e della logica, cadono in una palese ipocrisia e incoerenza; non possono definirsi autentici patrioti culinari
Ma l'ipocrisia raggiunge forse il suo apice quando si invoca la "Dieta Mediterranea" (Patrimonio UNESCO) come baluardo della tradizione e della salute italiana, dimenticando o volutamente ignorando una contraddizione fondamentale. Mentre il modello scientifico della Dieta Mediterranea raccomanda un consumo quotidiano abbondante di vegetali (frutta, verdura, cereali integrali, legumi) e solo settimanale/moderato di prodotti animali, la realtà della cucina tradizionale italiana, anche quella "povera" o "contadina", rivela un uso pervasivo e quasi sistematico di derivati animali anche nei piatti apparentemente vegetali.
Zuppe e minestroni arricchiti con formaggio grattugiato, croste di parmigiano, lardo o pancetta nel soffritto; verdure ripassate nel burro; zuppe tradizionali basate su brodo di carne o con l'aggiunta di uova e pecorino. Questa onnipresenza animale, anche come semplice condimento o insaporitore, smentisce la narrazione di una tradizione puramente vegetale e dimostra quanto la cultura carnista (in senso lato, includendo latte e uova) sia radicata, rendendo l'appello alla Dieta Mediterranea come giustificazione per le pratiche attuali un'ulteriore mistificazione.
Si celebra un modello ideale virtuoso mentre si perpetua una pratica quotidiana che spesso lo contraddice fin dalle sue preparazioni più semplici e fondamentali.
Bisogna inoltre essere consapevoli che la semplice dicitura "Made in Italy" non garantisce affatto che un prodotto sia interamente italiano dall'origine alla trasformazione finale; per questo esiste la dicitura specifica "100% Made in Italy", spesso meno visibile.
Assistiamo a un'operazione di marketing su larga scala, abilmente travestita da promozione culturale, che utilizza membri di spicco di questa corporazione di cuochi (tanatodossici) come testimonial per diffondere un'immagine distorta e commercialmente appetibile della cucina italiana, molto lontana dalla sobrietà, dalla stagionalità e dalla sostenibilità della vera tradizione popolare, storicamente basata su cereali, legumi, verdure dell'orto e solo occasionalmente su prodotti animali. Si tratta di un "gioco furbo", orchestrato con la complicità delle istituzioni e delle potenti lobby agroalimentari, finalizzato a mantenere e rafforzare la dittatura culturale e di mercato dell'alimentazione carnista.
Questo gioco è talmente potente da influenzare persino la legislazione, come nel caso dell'Art. 3 della L. 172/2023 che vieta l'uso di nomi comuni per prodotti vegetali con giustificazioni ("tutela ambientale e sanitaria" del patrimonio zootecnico) che appaiono scientificamente infondate e dettate più dalla paura dell'industria tradizionale di fronte al cambiamento che da un reale interesse pubblico. Una paura che porta un settore potente a preoccuparsi di dettagli linguistici, percepiti come minacce strategiche alla propria egemonia culturale e di mercato.

6.4 Battaglie Ambigue: La Critica Selettiva degli Chef
In questo contesto di narrazioni spesso contraddittorie, merita attenzione anche la posizione talvolta ambigua di una parte influente del mondo culinario italiano – inclusi chef noti e associazioni di categoria – riguardo all'industrializzazione alimentare. Si osserva infatti una dinamica peculiare: Da un lato, vengono intraprese battaglie pubbliche e molto visibili contro certe forme di cibo industriale, come quello sintetico/coltivato o gli alimenti ultra-formulati.
Queste campagne sono frequentemente condotte in stretta alleanza con organizzazioni che difendono la filiera agroalimentare tradizionale. Dall'altro lato, però, si nota spesso una minore enfasi critica, o un relativo silenzio, da parte delle stesse figure o associazioni, riguardo ai problemi etici e ambientali interni a quella stessa filiera tradizionale che si intende difendere.
Ci riferiamo in particolare all'impatto degli allevamenti intensivi, che costituiscono una componente industriale significativa anche del "Made in Italy" zootecnico. Questa disparità di atteggiamento – un forte contrasto verso alcune innovazioni o processi industriali esterni alla tradizione, e una critica meno accesa verso le problematiche interne alla produzione animale intensiva tradizionale – genera un'evidente ambiguità.
Fa sorgere il legittimo dubbio: la critica all'industrializzazione è sempre guidata da una preoccupazione olistica per la salute, l'etica e l'ambiente, oppure è talvolta una critica selettiva, motivata anche dalla difesa di interessi economici e di mercato legati alla filiera tradizionale "Made in Italy" (inclusa la sua componente zootecnica) contro nuove forme di concorrenza?
Questa potenziale contraddizione, che vede contrapporre l' "industriale cattivo" (nuovo, esterno) all' "industriale buono" (vecchio, nostrano, nonostante le sue criticità), merita di essere evidenziata e ulteriormente indagata, poiché rivela le complesse intersezioni tra alta cucina, interessi economici, retoriche nazionalistiche e la difficoltà a intraprendere una critica realmente radicale e coerente all'intero sistema alimentare dominante.

6.5 Tutelare la Minoranza Vegana Consapevole
In questo contesto di forte pressione culturale, mediatica ed economica, è fondamentale riconoscere che la crescente popolazione vegana costituisce una minoranza portatrice di istanze etiche, salutistiche ed ambientali fondamentali, ma che affronta ostacoli concreti e pregiudizi.
Sebbene non rientri nelle categorie protette tradizionali, questa minoranza necessita di una maggiore tutela sociale e culturale: rispetto per le proprie scelte, lotta agli stereotipi denigratori, garanzia di accessibilità a opzioni adeguate in tutti i contesti pubblici e privati.
Ignorare o ostacolare queste istanze significa negare i principi di una società inclusiva e voltare le spalle alle sfide sanitarie e ambientali del nostro tempo.

 

Capitolo 7: DIETA MEDITERRANEA: NUOVO PARADIGMA ALIMENTARE PER LA TRANSIZIONE VERDE


7.1 Introduzione: Patrimonio Tradito, Vergogna Nazionale
Nel complesso panorama alimentare italiano, criticato in questo documento per la sua deriva carnista, spettacolare e spesso anti-salutistica promossa dai media e dall'alta cucina, spicca per contrasto un patrimonio culturale e nutrizionale di valore inestimabile, riconosciuto a livello mondiale: la Dieta Mediterranea. Iscritta nel Patrimonio Culturale Immateriale dell'UNESCO nel 2010, essa non rappresenta solo un insieme di pratiche alimentari benefiche per la salute, ma incarnava – e potenzialmente incarna ancora – una filosofia di vita e un modello di sviluppo sostenibile che l'Italia ha clamorosamente mancato di utilizzare come leva strategica per una transizione verso un futuro più equo e rispettoso.
Questa incapacità di valorizzare il proprio patrimonio più autentico e salutare a favore di modelli alimentari importati o distorti costituisce una vera e propria vergogna nazionale.

7.2 L'Alibi dell'Arte contro la Salute
Le ragioni per cui uno chef, nel creare un 'piatto d'autore', potrebbe non seguire pedissequamente le raccomandazioni della Dieta Mediterranea sono molteplici e interconnesse.
Lo scopo primario di uno chef d'alta cucina è spesso quello di creare un'esperienza sensoriale unica, innovativa e memorabile. Questo implica la ricerca di sapori intensi, consistenze particolari e presentazioni esteticamente ricercate.
L'obiettivo principale della Dieta Mediterranea (DM), come promossa dalle autorità sanitarie, è invece la promozione della salute a lungo termine e la prevenzione delle malattie croniche attraverso un modello alimentare equilibrato e uno stile di vita sano. Questi due obiettivi non sempre coincidono perfettamente in ogni singola preparazione.
Molti chef considerano la cucina una forma d'arte. La creazione di un 'piatto d'autore' è un atto di espressione personale e innovazione. Seguire rigidamente le linee guida nutrizionali, che pongono limiti su certi ingredienti (come grassi saturi, sale, zuccheri) o tecniche di cottura, potrebbe essere percepito come un vincolo alla propria libertà creativa. Lo chef potrebbe voler esplorare combinazioni o utilizzare ingredienti (come burro, panna, carni grasse specifiche) per ottenere un risultato gustativo o una texture specifica che si discosta dai canoni della DM.

7.3 Il Vero Potenziale (Ignorato): Vegetale e Sostenibile
La Dieta Mediterranea, nella sua accezione più autentica e scientificamente validata, è caratterizzata da un elevato consumo di alimenti di origine vegetale (cereali integrali, legumi, frutta, verdura, frutta secca, olio d'oliva) e da un consumo molto moderato di prodotti animali, specialmente carne rossa. Questi principi la rendono non solo un baluardo contro le malattie croniche del benessere, ma anche un modello intrinsecamente più sostenibile rispetto alla dieta occidentale standard.
L'Italia, culla di questo modello, avrebbe potuto dare l'esempio al mondo, candidandosi a diventare il primo Paese leader nella transizione verso un'agricoltura e un sistema alimentare prevalentemente vegetali, basati sulla valorizzazione delle proprie risorse e tradizioni più virtuose.
Proprio per queste sue caratteristiche, la Dieta Mediterranea avrebbe potuto rappresentare, specialmente a partire dalla rinnovata attenzione istituzionale ricevuta attorno al 2015, la piattaforma ideale, il ponte culturale e nutrizionale perfetto, per instaurare un percorso graduale ma deciso verso un'alimentazione ancora più vegetale, fino a quella "vegItaliana" auspicata da una visione etica completa.
Un simile percorso sarebbe stato perfettamente allineato con gli obiettivi internazionali di sviluppo sostenibile (come l'Obiettivo 2 dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, "Fame Zero", che include la promozione di un'agricoltura sostenibile) e con la necessità impellente di ridurre l'impatto ambientale del sistema alimentare, ponendo un orizzonte ambizioso ma realistico (ad esempio, il 2050) per una transizione significativa. Si trattava di una grande occasione strategica per il Paese, un'opportunità di leadership globale sprecata.

7.4 Colpe e Omissioni: Perché la Transizione è Fallita
Tuttavia, questa occasione è stata in gran parte perduta e sprecata. Affinché la Dieta Mediterranea potesse fungere da volano per una trasformazione così profonda, sarebbero state necessarie condizioni politiche, economiche ed educative che sono palesemente mancate:
Al di là delle dichiarazioni di principio e della promozione del marchio "Dieta Mediterranea" (spesso a fini puramente commerciali o turistici), è mancata una programmazione politica seria e a lungo termine che la ponesse al centro delle politiche agricole, sanitarie ed educative. Anzi, spesso si è assistito a politiche che, di fatto, continuavano a sostenere (anche con fondi pubblici e contributi UE non adeguatamente riorientati) il settore zootecnico intensivo.
Una transizione verso un modello più vegetale richiede investimenti massicci e strategici nella riconversione di parti del sistema agroalimentare. Servivano (e servirebbero) incentivi e supporto tecnologico per gli agricoltori che volessero passare da produzioni zootecniche a coltivazioni vegetali proteiche (legumi, ecc.) o ad altre forme di agricoltura sostenibile, nonché per lo sviluppo dell'industria italiana delle alternative plant-based. Di questo si è parlato poco o nulla a livello istituzionale strategico.
È mancata una campagna educativa capillare, a partire dalle scuole ma estesa a tutta la popolazione, che non si limitasse a elencare i benefici generici della Dieta Mediterranea, ma che sfidasse apertamente la "dittatura carnea", spiegasse in modo trasparente gli impatti etici, ambientali e sanitari degli allevamenti intensivi e del consumo eccessivo di carne, e presentasse l'alimentazione vegetale come un'opzione valida, desiderabile e nutrizionalmente completa.
L'informazione istituzionale è rimasta spesso timida, parziale o contraddittoria. Invece di cogliere questa occasione, abbiamo assistito al prevalere delle logiche di mercato a breve termine, alla difesa corporativa degli interessi della filiera zootecnica e alla promozione di un "Made in Italy" gastronomico spesso lontano dai principi di sobrietà e sostenibilità della vera Dieta Mediterranea.

7.5 La Barriera Invisibile: Il Gusto da De-Colonizzare
Ma per realizzare pienamente questo nuovo paradigma alimentare [o questa rivoluzione della coscienza], è fondamentale anche una sorta de-programmazione sensoriale collettiva.
Occorre liberare la nostra 'memoria gustativa' dalla dipendenza dai sapori artificialmente intensi – spesso "drogati" da eccessi di sale, zuccheri raffinati, spezie industriali, esaltatori di sapidità e onnipresenti grassi animali – a cui decenni di alimentazione industriale, di fast food e di cucina "spettacolare" ci hanno pericolosamente assuefatto.
Solo rieducando il palato alla semplicità apparente ma profondamente complessa, alla varietà e alla delicatezza dei sapori naturali del mondo vegetale, potremo veramente apprezzare la ricchezza di un'alimentazione sana, etica e sostenibile.
Questa riscoperta del gusto autentico è parte integrante della rivoluzione culturale necessaria per abbracciare la Giustizia Verde [o per sradicare il tanatodossia alimentare] e ridisegnare il nostro rapporto con il cibo e con il pianeta.

7.6 La Strada (Oggi) in Salita, la Meta (Sempre) Giusta: Giustizia Verde
Oggi, recuperare quel percorso appare "ancora più duro". Il tempo perso ha permesso agli interessi costituiti di rafforzarsi, la crisi climatica si è aggravata, e normative come quella sul "meat sounding" sembrano andare nella direzione opposta a quella necessaria. La strada per una transizione alimentare etica e sostenibile in Italia è decisamente in salita.
Ma proprio di fronte a queste difficoltà, emerge con ancora più forza la necessità di ancorarsi a un principio guida, a un ideale che dia senso e direzione alla lotta: quello che possiamo chiamare "Giustizia Verde".
Questo concetto, che oggi tenta di unire giustizia ambientale, animale (o interspecie) e sociale-sanitaria in una visione integrata, non nasce dal nulla. Esso si radica e riecheggia in precedenti, lucide e coraggiose elaborazioni etiche, come la significativa "Proposta 2013" [LINK] dell'Agenda del Pianeta Terra, firmata da Laura Girardello e Giovanni Peroncini.
Già allora si delineava un quadro completo basato sul riconoscimento della comune origine della vita, sull'interdipendenza tra tutti gli esseri, sull'affermazione di eguali diritti all'esistenza e alla co-evoluzione per umani e non umani (Art. 1), sulla condanna esplicita dello specismo (Art. 3) e del biocidio (Art. 4), e sulla necessità impellente di tutelare legalmente i diritti naturali dei non umani (Art. 6 e 7) e di promuovere un'educazione basata sull'empatia, la responsabilità e la conoscenza (Art. 8 e 9).
La lotta per un ritorno ai veri principi della Dieta Mediterranea e per una sua evoluzione verso un modello vegItaliano non è quindi solo una questione di salute o ambiente, ma una battaglia per questa "Giustizia Verde" integrata. È una lotta difficile, ma necessaria e non più rimandabile, che parte dalla tavola per arrivare a ridisegnare il nostro rapporto con il pianeta e con tutti i suoi abitanti.
Anche se l'occasione del 2015 è stata sprecata, la necessità e l'urgenza etica di quel cambiamento rimangono intatte, e anzi, sono oggi ancora più pressanti.

 

Capitolo 8: FINE DEL POTERE DOMINANTE DELLA TANATODOSSIA ALIMENTARE


8.1 Il Nemico Invisibile, la Tanatodossìa Alimentare Svelata
Questo lungo atto d'accusa contro la cosiddetta "Cucina d'Autore" e l'"Alta Pasticceria" italiane culmina nell'identificazione e nella denuncia dell'ingrediente segreto che le permea: l'ideologia invisibile della Tanatodossìa Alimentare.
È questo sistema di credenze profondamente radicato, violento e irrazionale che permette alla nostra società di considerare normale, naturale e necessario lo sfruttamento e l'uccisione sistematica di miliardi di animali per trasformarli in cibo, specialmente quando questo cibo viene elevato a feticcio di lusso, arte o tradizione.

8.2 I Meccanismi dell'Invisibilità: La Normalità come Maschera dell'Orrore
La Tanatodossìa Alimentare opera in modo subdolo, proprio come altre ideologie oppressive (razzismo, sessismo). La sua forza risiede nella sua invisibilità: non è percepito come un sistema di scelte condizionate, ma come "la normalità", "il dato di fatto", "la realtà delle cose".
Mentre il veganismo è visto come una scelta ideologica visibile e spesso criticata, la tanatodossìa alimentare rimane la norma indiscussa, il paradigma nascosto che rende possibile la "tanatogastronomia" e le sue celebrazioni mediatiche.
Un'invisibilità attivamente costruita dal sistema stesso, che occulta la realtà degli allevamenti e dei macelli e impedisce alle persone e ai consumatori di vedere e sentire la sofferenza inflitta, facendo leva anche sulla diffusa, e spesso colpevole, volontà di 'non sapere', di non disturbare la propria coscienza.

8.3 Smascherare l'Irrazionalità e la Violenza
Ma è tempo di rendere visibile l'invisibile, di smascherare le basi irrazionali di questa ideologia: la contraddizione palese nel trattare alcuni animali come membri della famiglia e altri come mere risorse; la violenza inaudita nascosta dietro le mura asettiche di allevamenti intensivi e macelli, una violenza che costituisce la materia prima stessa di tanti piatti "d'autore"; l'incoerenza etica rispetto ai valori fondamentali di compassione e giustizia che affermiamo di sostenere.
L'analisi critica della tanatodossìa alimentare rivela un sistema che richiede costante dissociazione psicologica e negazione della realtà per potersi sostenere.

8.4 Riconoscere la Tanatodossìa: Un Dovere Etico Universale
Riconoscere le fallacie, le ingiustizie e la crudeltà intrinseca della tanatodossìa alimentare non è un compito riservato a chi si definisce "vegano". È un dovere etico e intellettuale per chiunque abbia a cuore la coerenza, la verità e la giustizia.
È un esercizio di lucidità critica accessibile a tutti, che permette di vedere oltre le giustificazioni culturali ("tradizione"), biologiche ("onnivorismo") o estetiche ("arte") usate come alibi. Smascherare la tanatodossìa alimentare significa mettere in discussione le fondamenta stesse della nostra cultura alimentare dominante.

8.5 La Difficile Battaglia della Minoranza Consapevole: Avanguardia del Cambiamento
È dunque questo sistema interconnesso – scolastico, lavorativo, sociale, sanitario, mediatico ed economico – che, con la sua pervasività, costruisce e mantiene la 'normalità' apparente del consumo di animali, rendendo la necessaria transizione verso modelli più etici e sostenibili una difficile battaglia controcorrente. Questo sistema, limitando il tempo, le energie e spesso anche le informazioni disponibili per un'alimentazione realmente consapevole e autoprodotta, favorisce il ricorso a soluzioni rapide, convenienti e spesso ingannevoli, quasi sempre basate su prodotti industriali o di origine animale.
Eppure, nonostante la pressione schiacciante di questa Dittatura Tanatodossica, emerge e resiste una minoranza consapevole: individui e gruppi che, avendo compreso l'orrore e l'ingiustizia, scelgono quotidianamente di opporsi, di informarsi, di cambiare le proprie abitudini e di testimoniare la possibilità di un'alternativa. Questa minoranza, spesso stigmatizzata, derisa, ostacolata e costretta ad affrontare l'evidente difficoltà di una testimonianza attiva in un contesto ostile, così come coloro che vorrebbero avvicinarsi a questa scelta ma ne vengono scoraggiati, rappresenta in realtà l'avanguardia di una rivoluzione della coscienza, il seme di un futuro più giusto. La sua battaglia quotidiana, fatta di scelte etiche coerenti, di informazione critica e di promozione di alternative, è la prova vivente che la Tanatodossìa Alimentare non è un destino ineluttabile, ma un costrutto culturale che può e deve essere smantellato. È a questa minoranza coraggiosa e resiliente che il Tribunale guarda con speranza e a cui offre il suo pieno sostegno, riconoscendone il ruolo cruciale come catalizzatore del cambiamento.

8.6 Il Giudizio Finale del Tribunale: I Cinque Volti dell'Orrore Culinario
Per questo, di fronte al quadro complesso e preoccupante descritto in questo documento, il "Tribunale Laura Girardello" ribadisce la sua definizione severa ma necessaria: gran parte dell'attuale cucina d'autore mediatica, intrisa di tanatodossìa alimentare, si configura come:

• Un macabro oltraggio alla vita.
• Un vero e proprio abominio etico mascherato da ricerca estetica.
• Un'atrocità normalizzata e spettacolarizzata.
• Un crimine silenzioso contro la salute pubblica e la giustizia globale.
• Un'assurdità culturale priva di un solido fondamento etico.

8.7 È Tempo di Rivoluzione: Dalla Coscienza alla Tavola (e Oltre)
È urgentemente necessario che i cuochi, e in particolare quelli che detengono maggiore influenza, la smettano con la farsa dell'indifferenza, che è spesso una diretta manifestazione della tanatodossìa alimentare interiorizzata. Che cessino di fingere sordità di fronte alle prove della sofferenza animale, ai dati sulla salute, agli allarmi ambientali.
Il Tribunale è pienamente consapevole dei meccanismi di difesa, delle reazioni stizzite, delle strategie retoriche usate per eludere questa critica radicale: la negazione delle premesse etiche, il trincerarsi dietro la 'tradizione' o la presunta 'arte', le fallacie logiche del 'whataboutism', gli attacchi ad hominem contro chi osa dissentire, la minimizzazione del problema o l'appello a una 'complessità' usata come scudo.
Ma nessuna di queste tattiche può intaccare la sostanza del giudizio etico, né potrà difendere a lungo un sistema ormai indifendibile. Per questo, è tempo che smettano di ergersi a "legislatori" del gusto basandosi sulla sola abilità tecnica o sulla logica dello spettacolo, e inizino finalmente ad ascoltare – perché la sentono, ma la tanatodossìa alimentare li porta a ignorarla – una legge ben più alta: quella della Coscienza, della Verità sulla senzienza, della Giustizia intesa come equità verso tutti gli esseri viventi e le generazioni future.
È tempo di una rivoluzione culinaria e culturale che parta dallo SRADICAMENTO della tanatodossìa alimentare e dal rispetto per ogni vita. Lo SRADICAMENTO del potere dominante della tanatodossìa alimentare non è solo un auspicio, ma un orizzonte etico e storico necessario per realizzare una vera Giustizia Verde.

8.8 La Sfida Finale: Trasparenza Radicale e Giudizio Popolare
E dunque, questo Tribunale emette un'ultima, formale provocazione, una sfida irrevocabile ai pilastri del sistema tanatodossico italiano: allo Stato e alle sue istituzioni, troppo spesso silenti, compiacenti o attivamente complici; alla corporazione dei cuochi, che ne celebra i riti macabri mascherandoli da arte o tradizione; all'industria agroalimentare, che prospera cinicamente sulla sofferenza e sulla menzogna. A voi tutti, che difendete l'indifendibile invocando alibi culturali, economici o presunti piaceri insostituibili. A voi tutti, che opponete una strenua resistenza al cambiamento etico ormai improcrastinabile.
Se siete così certi della giustezza del vostro operato, della sostenibilità delle vostre pratiche, dell'accettabilità etica di ciò che oggi è deliberatamente occultato dietro le mura invalicabili degli allevamenti e dei macelli; se siete convinti che il popolo italiano, una volta costretto a confrontarsi con la piena e cruda verità dell'orrore che inconsapevolmente finanzia, sceglierebbe liberamente di perpetuare questa via... allora abbiate il coraggio sovrano di dimostrarlo.
Il Tribunale vi sfida: accettate di sottoporre la questione fondamentale della liceità etica del sistema alimentare attuale al giudizio del popolo italiano. Non attraverso sondaggi manipolati, né dibattiti mediatici addomesticati, ma attraverso una scelta popolare consapevole e sovrana, sul modello di un referendum etico vincolante. Poniamo, tuttavia, una condizione irrinunciabile e non negoziabile: tale scelta potrà avvenire solo e unicamente DOPO una campagna nazionale di informazione radicalmente onesta, completa, imparziale e priva di ogni censura, finanziata con fondi pubblici ma gestita e garantita da organi scientifici, etici e culturali indipendenti da ogni interesse di parte.
Questa campagna dovrà squarciare definitivamente il velo dell'ipocrisia sistemica e mostrare al popolo italiano, senza filtri né sconti, TUTTA la verità:

• La realtà visiva diretta (foto, video, testimonianze dirette) della normalizzata tortura quotidiana: la vita e la morte degli animali negli allevamenti (intensivi ed estensivi), nei trasporti e nei macelli.

• I reali impatti ambientali devastanti della zootecnia (emissioni, deforestazione, consumo di suolo e acqua, inquinamento).

• Le conseguenze sulla salute umana documentate dalla scienza non compromessa da conflitti di interesse (malattie croniche, antibiotico-resistenza, rischi pandemici).

• Le implicazioni per la giustizia sociale globale (spreco di risorse vitali contro la fame nel mondo, land grabbing, sfruttamento del lavoro).

• La verità sugli ingredienti importati rispetto alle fraudolente narrazioni del "Made in Italy".

• La realtà scientifica ed etica sulle alternative vegetali (completezza nutrizionale, sostenibilità, piena eticità).

 

Il popolo italiano ha il diritto sacrosanto e inviolabile alla VERITÀ INTEGRALE sul cibo che consuma e sul sistema di violenza che lo produce. Basta con l'inganno sistematico! Mettetelo nelle condizioni di conoscere pienamente, e poi lasciatelo scegliere liberamente.
Il vostro eventuale terrore di fronte a questa proposta di trasparenza radicale e democrazia diretta non sarà altro che la confessione definitiva della vostra malafede, della vostra paura della verità, e della consapevolezza che il vostro intero sistema si regge sull'ignoranza imposta, sulla censura della realtà e sull'inganno sistematico che questo Tribunale ha denunciato e continuerà a denunciare fino al suo completo smantellamento.